Giacinto De Sivo – Benevento tolta al Papa

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RICERCA EFFETTUATA TRAMITE GOOGLE LIBRI SUL TESTO ” Storia delle due sicilie “dal 1847 al 1861 di Giacinto de Sivo VOL IV -Trieste-1868
PAG.173-174 e PAG.440-441

§14. Benevento tolta al Papa.
Racconto il fatto di Benevento. Dissi già d’un Achille lacobelli di S. Lupo, liberale nel 48, reazionario dappoi. Suo padre Gregorio fu masnadiero insieme a un Antonio Iadonisio; ambi condannati alla forca, questi fu giustiziato, quegli ebbe grazia: le spese del giudizio, benchè per condanna obbligati, mai non pagarono gli eredi, quantunque arricchiti. Stretti dunque da’ legami paterni, Achille Iacobelh e Filippo Iadonisio agli ereditati bottini aggiunsero industrie di brogli e appalti, per favore amministrativo prosperosi. Achille dopo il 49 vestiva la divisa di tenentecolonnello regio, comandava le guardie urbane, ebbe da Ferdinando la concessione del ponte sul Calore al Torello ; Filippo fu ricevitore della dogana a Pontelandolfo. Lor s’aggiunse un Giuseppe De Marco di Paupisi impiegato anche in quella dogana. Tal triumvirato, sperando maggior fortuna ne’ muTamenti, reggea le file settarie in quei luoghi tra Molise e L’Avellinese; vi spandeva il clandestino foglio Ordine, e i comandamenti del sebezio comitato. In Pontelandolfo si scoperse la cosa ; fu denunziato il De Marco ; e il giudice Arpaia faceva il processo ; ma da Napoli venne ingiunto si ponesse cenere, e l’Arpaia in pena fu traslocato a Sepino. Sì trionfando i congiuratori, s’avvilirono gli accusatori; la congiura seguitò, e data poi la costituzione si palesò. Prese il De Marco ad accozzare in casa sua a Paupisi qualche soldato pontificio disertato da Benevento; cucì camice rosse, raccolse arme, munizioni e moneta. Al 1° settembre fe’ una ragunata di tristi nel piano beneventano, armolli con arme tolte ai corpi di guardia nazionali di là dattorno, li vestì rossi, ne fe’ squadre, largì gradi, si creò maggiore; e alla dimane in quasi dugento entrò in Benevento: ove già Domenico De Simone, Nicola Vessichelli e un Mutarelli aveano la sollevazione iniziata. Noti trovato ostacolo, depose gl’impiegati papali, arse gli stemmi, vuotò le casse, occupò il castello, il collegio de’ Gesuiti, e’l palazzo municipale. Liberò parecchi carcerati, alzò il governo per Savoia, e vi pose a capo, ricusantisi molti, un Salvatore Rampone notaio e sonatore di flauto. Seguitarono atti sacrileghi contro i Gesuiti ;aggrediti in casa, spo gliati, scacciati, obbligati a mendicar pane e sussidii per andare altrove. Il cardinale Carafa tennero prigione in casa, aspettando il cenno del dittatore. A’ 4 settembre abolirono i dazii. Di là il De Marco ingrossato scorreva la campagna ; poi andò ad Ariano ; poi s’unì a’ garibaldini in Maddaloni. Il Rampone si die’ a vilezze ed estorsioni; onde gli si oppose Carlo Torre ; il quale mandato a Napoli some di formaggi e salami, e forse anche perchè più di lui alto nella massoneria, ottenne d’essere esso creato governatore in sua vece.
§8.Assassini uffiziali nel Beneventano.

Sul principio d’agosto nel Beneventano s’alzarono i gigli in S. Marco dei Cavoti, Molinara, S. Giorgio la Molara, Pago, Pietralcina, Paduli e altri paeselli. Quando Francesco die’ la costituzione, i faziosi di S. Giorgio divulgarono, il governo permettere la partizione de’ terreni ex feudali del principe di S. Antimo; tosto elessero sindaco nuovo , devastarono il bosco Mazzocca, venderono il legname, spartirono il suolo, e istigatori il tengono. Poscia espulso l’agente del principe e’l curalo, gl’istigatori pur fremevano al vedere i buoni schifare quelle rapine; e anelanti di torseli dagli occhi, ogni dì contro i principali intessevano calunnie, massime sul favorire il brigantaggio. Accadde che il 6 agosto uno del Colle, soprannomato Pelorosso con cinquant’uomini a cavallo entrò in S. Marco de’Cavoti , e con l’aiuto pronto della popolazione scacciò gli accorsi soldati del Galantuomo, ripose il governo per Francesco; e fe’ lo stesso a Molinara. I liberali di tai luoghi fuggirono presso i consettari a S. Giorgio; ma quelli e questi, odorando la venuta pur là de’ reaziouarii, ripararono a Benevento. Infatti l’8 del mese il Pelorosso entrò come trionfante in S. Giorgio con le popolazioni de’ dintorni; prese il danaro comunale, in ottomila ducati, e voleva saccheggiare le case degli usciti; ma la buona gente con preci, e sagrifizii pecuniarii lo impedì. Egli ripostovi il governo borbonico, passò a Pago, e poi a Pietralcina: aveva più che mille uomini, armati di spiedi e mazze; però sull’alba del 10, sorpreso da’Piemontesi, nè potendo sostenersi, dové sloggiare; ma i Piemontesi non lo perseguitarono, trovarono cosa più facile ammazzare i paesani; né men di quaranta innocenti sul botto ne uccisero. Ma poco dopo quel sindaco Giacomo Tavini, che avea chiamato i soldati, fu esso e la sua druda morto a vendetta. I Sardi di là corsero il 12 a Paduli, che spontanea il 9 s’era rivoltata, senza sangue; e issofatto cinque persone, ]or negando il confessore, fucilarono.
I liberali di S. Giorgio fuggiti a Benevento, accusando i loro nemici d’aver chiamati i briganti, e mentendo d’aver patito sacco e fuoco alle case, ottennero Piemontesi per assalire la patria. Il comandante v’arrivò di notte, e trovati certi armati pel buon ordine, incontanente li trucidò; poi visto il paese cheto, e nessuna casa tocca, verificata la menzogna, pur tassò di duemila ducati le famiglie ricche, oltre le razioni per la truppa, e se n’andò. Ciò a’liberali parve niente; e volendo la morte degli onesti oppositori di loro malvagità, flottarono
attorno al prefetto beneventano, certo Gallerini, e a un Lupi delegato di polizia; asserendo quelli sempre cospirare pe’Borboni; eglino non potere senza rischio rimpatriare; volersi esempio di terrore. Quei Gallerini e Lupi non men tristi di loro, ragunati soldati, corsero non per vedere la verità, ma per contentarli di vendette. Prima entrarono in S. Marco, bramosi d’uccidervi l’ex capo urbano Nicola Ialardi, ricchissimo; non trovatolo, saccheggiarongli e arsero la casa, rubandogli oltre a cinquantamila ducati; e’l medesimo fecero a Vincenzo de Conno. Di là bene abbottinati voltarono a S. Giorgio, e giunservi la notte del 4 settembre. Stando quei cittadini ignari e dormenti, alcuni ne presero ne’lelti, altri cavarono da’nascondigli, tutti chiusero in una stalla; e fatto un conciliabolo co’ più felli, e col fellone giudice Autiero, risolsero a spavento del popolo sagrificare alquanti de’più amati, acciò meglio al liberalesco gioco si curvasse. Primi scelti furono Michele Pappone ex capo urbano, Luigi Germano sindaco, e Giovanni Paradiso, questi perché fratello d’un gesuita, e padre del giudice di Carbonara, gemente come dissi nelle carceri. Al mattino menanli iufunati al largo della Fiera; indarno corrono piangenti e scapigliate le mogli e le figlie; indarno domandano un confessore: mentre ancora camminavano, hanno di dietro una salva di schioppettate. I cadaveri tutto il di a terrore proibita la sepoltura, tengono sulla piazza. Un garibaldino tagliò le dita al Germano per pigliar l’anello; altri gli strappò i calzoni. Similmente assassinarono altri otto infelici; due centinaia di persone carcerarono, che penarono in lungo giudizio, compiuto poi in luglio 1863 . E quando i giudici dichiararono innocenti i tre Pappone, Germano, e Paradiso, si trovò ch’ erano stati fucilati. Storie conto e paiono favole. Dove i briganti non avean saccheggiato, saccheggiavano e assassinavano i prefetti del re galantuomo restauratore di morale. II prefetto Gallerinr non fu già impiccato, ma traslocato; ma lo punì Dio: gli tolse l’ unico figlio, e a lui il senno.