Insurrezione della Città di Benevento e sue dipendenze

memorie

 

RICERCA EFFETTUATA SU “GOOGLE LIBRI” DAL LIBRO “MEMORIE PER LA STORIA DEI NOSTRI TEMPI ” TERZA SERIE -torino-1865
Da pag.86 A 90

XIII
Solo coloro che provarono quanto grande sia la festa che se è affratellata al pericolo – la festa veramente umana,campata in alto tra i vertici e il precipizio – possano intendere quale palpito festivo trascorse ai lembi estremi del Taburno, verso il nord-est, nel mattino del 9 Settembre del 1860.
La bandiera dai gigli d’oro sventolava ancora sui castelli di Napoli e sulle mura di Capua e di Gaeta; ma quei gigli rotolavano al suolo nel pendio di Paupisi e sull’ altura di Torrecuso, donde il re Ferrante d’Aragona potè guardare Benevento in una giornata di guerra.

A guerra muovevano pure i nipoti dei vecchi vassalli, con le armi non più date dai Baroni: erano mosse di ribellione popolare, mobilitate dalle memorie e dal rischio mortale o sul campo o presso la ghigliottina. Eppure una giovanile fidanza – sorrisa dall’aria limpida, dal verde della campagna, dalla fiamma viva delle tuniche rosse – spingeva a far ventilare lo stesso tricolore che aveva sorpassati i vortici di Scilla, e a far udire nella valle segnata dalle curve del Calore il nome di chi ora non più ode gli evviva sui sassi di Caprera. Quel nome doveva acquistare il significato di tutta la rivoluzione negli evviva innanzi alle mura della vicina città pontificia.
I Volontarii-armati e vestiti nel modo vario di futte le squadre sorte dalle audacie popolari – erano partiti alle ore mattutine dal casaale di Paupisi, complice dei preparativi rivoluzionari, guidati dal Maggiore De Marco, cinto meno di forze che di titoli senza diplomi: «Capo politico e alto Commissario civile. ».

quadro achille vianelli 1860

Chi gli aveva conferito quei gradi? Il potere, allora illeggittimo dei Comitati. I diplomatici deIla Corte pontificia difficilmente potrebbero scovrire la germinazione del regno papale dissimile dall’impeto che l’abbatteva. Uno solo il divario:a foggiare la corona terrena dei Papi intervennero le violenze e gli artifici dei popoli stranieri; a infrangerla insorsero i nostri: sempre le armi: vinte costituenti il misfatto, vincitrici tnmutate nel diritto.
Le esortazioni dei Comitati da Napoli erano divenute da qualche giorno più che mai agitanti:
« E’ di supremo interesse che la provincia d’Avellino si muova al più presto possibile…. Marcino tutti e presto. Niun pretesto. Ogni ora di ritardo è un delitto. »

E i Paesetti di Paupisi e Torrecuso -allora appartenti ad Avellino – erano i primi a dare il grido della riscossa, allo spuntare del due settembre.
Quasi tutti del Comitato Vitulanese erano radunati in quella bella mattina sullo spianato innanzi al castello di Torrecuso, ove, tra lo sventolare di bandiere tricolorate, furono accolti i Volontari che arrrivavano in fidente disordine. Venne allora abbattuto Stemma Borbonico, mentre si levavano evviva a Garibaldi, a Vittorio Emanuele, all’Italia: evviva troppo facili adesso, rischiosissimi allora: minori audacie avevano prodotto l’ergastolo. In quell’angolo estremo della proviiicia di Avellino, così prossimo a Benevento, – nell’antico feudo che Cario d’Angiò diede al castellano d’Astura, dopo che “vittima fe’ di Corradino”-era
inaugurata la rivoluzione nella contrada nostra contro i Re di Napoli e contro la sovranità temporale dei Papi. La popolazione di quel nnisero castello – paterna e abbandonata dimora di chi oggi lo raccomanda al ricordo della sua provincia – accolse lietamente i Volontari e nelle case ricche o modeste offrì accoglienze e mense festive.
Qualche ora prima della sera gli addii auguranti e trepidi. Fra nuovi evviva, centinaia di armati dalle divise rosse discesero per la via che da Torrecuso guida al sottostante Ponte-Finocchio; prossimo ad una rocca rovinosa che a’tempi del Re Guglielmo II vide la partenza dei Crociati, e allora vedeva gli accorrenti alla rivoluzione meridionale che, se l’epica non è morta, desterà in venturo secolo la successione dei canti vivi ancora presso la quercia del Gianicolo.
Nello stesso giorno due settembre -mentre dai dintorni di Vitulano partivano varie centinaia, di armati verso Benevento, – in questa città, al pomeriggio, erano dati i primi segnali della sommossa.
Qualche giorno innanzi era stato scritto al Comitato di Benevento:
« Il Comitato centrale dell’Unità italiana e del l’ordine, residente in Napoli, autorizza cotesto Comitato a promuovere e cooperare alla insurrezione della Città di Benevento e sue dipendenze, ponendosi d’accordo col Sig. Giuseppe De Marco, e subordinando le sue operazioni a quelle del Colonnello Matarazzo, capo militare della insurrezionc di Avellino…..»
Da una piccola strada, presso la Via Magistrale dove era la casa Mutarelli – rifugio dei congiurati – uscirono all’improvviso i rivoltosi. Tra la’sorpresa e la letizia, i capi della sollevazione -primo Salvatore Rampone – percorsero la città fra le acclamazioni a Garibaldi, a Vittorio Emanule, all’Italia: Napoli non le udiva ancora.
Il cammino era diretto al Castello ,una, Bastiglia non più difesa dai soldati papalini, quasi tutti disertati. Il Delegato Pontificio – E’duardo Agnelli -non poteva far saltare in aria la rocca, già piena di pacifici invasori. Salvatore Rampone, mentre intorno fremeva la moltitudine, annunciò, in nome di Garibaldi, che il rappresentante del Governo papale doveva allontanarsi da Benevento.
Il movimento si sparse per le vie, specialmente presso il Duomo e la Piazza Orsini, nell’attesa dei Volontari al domani.
Esistono tuttora alcuni che ricordano un vecchio ottantenne – un romano, – alto, ancora agile, che, al vedere i primi insorti mentre seguivano la bandiera tricolore verso Porta- Rufina, si slanciò fra loro, dando festivi abbracci , salutando l’ora della libertà italiana che rallegrava la suaa canizie. Quel vecchio aveva già combattuto nelle più famose battaglie del secolo – a Marengo, ad Eylau, a Wagram, a Friedland, – guadagnando le spalline sul campo; poscia non potendo lasciare l’uso delle anni , era stato fra le milizie pontificie, e rimase “Comandante di piazza” in Benevento, fìnché per gli anni non fu collocato a riposo: si chiamava Giuseppe Ambrosi.
I popoli soggetti e gli stessi soldati della Chiesa, non volevano il dominio temporale, invano difeso dagli stranieri e dagli anatemi.
La campagna di Torre Palazzo-ove ssi accamparono i Volontari,dopo il passaggio del Ponte-Finocchio-era adatta al movimento determinato pel domani,lunedì tre settembre: non solo era bene scelta come punto di ricongiungimento con la “legione” che doveva arrivare dai fianchi del Matese-seguendo la linea corrispondente al ramo della Via Latina da Alife a Benevento,-ma rimaneva a così breve distanza dalla città, da ottenere presto aiuti,notizie e provvigioni.
Nè un accampamento in quel punto era nuovo ,giacchè anche tralasciando l’assedio di Torre – Palazzo con le armi guidate dal Principe di Capua e dal Duca Rainulfo, allorchè venne il Papa Onorio- appartiene agli eventi della guerra tra il Re Ferrante e Carlo III il ricordo degli alloggiamenti dei Francesi presso al « Ponte-Finocchio, conte lo chiamò il Guicciardini. Dalla vicinanza a quei vecchi archi Torre-Palazzo della Chiesa – confinante con Torre-Palazzo di Regno – prese il nome di “Masseria del Ponte”.
Non lontano da quella campagna è l’altro edificioio colonico che – dai Marchesi cui appartiene -dà tuttavia la denominazione alla contrada: Mosti. In questa seconda masseria era stato fatto da varii giorni un deposito di circa quattrocento fucili :sembra sieno stati gli stessi che vennero acquistati, con una sorpresa, presso Grottaminarda, mentre erano spediti per uso delle truppe borboniche.Quelle armi erano state affidate a Giovanni Caporaso , uno dei componenti il Comitato Vitulanese, uomo di rara prontezza e di spontanea cortesia che – noto in Benevento, ove veniva spesso, pel commercio dei grani – potè offrire un legame tra questo « centro », come allora si diceva, e il «centro » Vitulanese.
Nella notte venne spedito al Comitato in Napoli questo rapporto:
« Pei poteri da Voi avuti in nome del Dittatore Garibaldi, l’alba di questa utattina, 2 settembre, mi ha veduto insorgere con 800 uomini che mi circondano, armati benissimo, e pronti a pugnare per l’Unità d’Italia sotto lo scettro di Vittorio Emanuele e la dittatura di Garibaldi.
Oggi resteremo accampati qui a’ Mosti, casino sull’agro Beneventano, per raccogliere ancora gente dai paesi circonvicini. Poi muoveremo per dove Voi sapete. Siate certi che vi giungerò coi miei armati, secondo lo stato che vi accludo, oltre altri 300 uomini generosi di Piedimonte d’Alife, comandati dal Signor Giuseppe De Blasiis, e uniti a me.
Dichiaro, signori del Comitato Unitario Nazionale, che a voi son tenuto per lo spesato dell’iniziativa di questa rivoluzione, e dichiaro altresì che se avessi avuto mezzi sarei già da quindici giorni insorto.
« Il Comandante la Colonna, Capo Politico e Civile. »
Seguiva lo « stato » della colonna:
Battaglione Vitulanese • Bcneventano, –comandato dal Maggiore Giuseppe De Marco. ,
1^ Compagnia — Volontarii scelti, vestiti alla Garibaldina. 2^ id. -3^ id. – 4^ id. – 5^ id. 6^ Volontari -Cacciatori Romani,organizzati ed ammaestrati alla cacciatore n. 20. -Guide a cavallo, n. 20. -Cacciatori a cavallo armati di picche -Ambulanza con tutto il necessario.-Il numero di questa forza ascende ad 800 e più
uomini.
A questa forza si è unito il battaglione di Piedimonte di 300 e più uomini comandati da De Blasiis.
N. 400 granate a mano. -ll Comando dello Stato maggiore della Colonna è affidata al Maggiore Sig. Angelo Santoro. – Domenico Froio è l’aiutante maggiore Comandante in secondo.
Uno degli uffiziali tra quei militi riuniti per marciare verso Benevento così narrò in alcune sue note manoscritte:
“La, colonna dei Volontarii, lasciata, la terra, di Torrecuso, arrivava, sull’imbrunire del giorno 2, a Torre – Palazzo, cioè sullo Spianato della masseria del Marchese Pedicini nel Beneventano. Accamparono colà per aspettare l’arrivo di altri Volontarii, che nel corso della notte vi convennero ; come anche vi arrivava la Legione del Matese, a marcia forzata, comandata dal Sig. De Blasiis.
La notte si passò in veglia pel moltissintu numrro di Beneventani che vennero a salutare la colonna, offrendo vivande e vino. Le ore passarono in lietissimo modo.”

Nelle campagne di Torre-Palazzo e dei Mosti, senza tende, senza severi ordini militari ,stette il campo dei Garibaldini nella notte tra il 2 e il 3 settembre: parve brevissinia, tanto fu interrotta dagli arrivi frequenti di militi e di staffette. Il Comitato Beneventano aveva avuta cura di spedire al campo carretti carichi di prosciutti e di barili di vino.
Il tempo era sereno, e i fuochi del bivacco non erano necessarii : un po’ di calore, non bastando solo i canti infiammati, potè acquistarsi nei brindisi che i Volontarii rivolsero a Garibaldi, e – precorrendo Giosuè Carducci -forse anche a Pap Mastai.