Gazzetta di Bologna -Il ponte di ferro sul calore

RICERCA EFFETTUATA SU “GOOGLE LIBRI” DAL GIORNALE “GAZZETTA PRIVILEGIATA DI BOLOGNA” N.9 DI GIOVEDI 21 GENNAIO- 1836
Da pag.86 A 90

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IL PONTE DI FERRO SUL CALORE.
(da un Giornale di Napoli del 9 gennaro)

La magnifica strada, che da Napoli conduce al Ponte di ferro sul Calore, attraversa per lo mezzzo un paese che la natura, !a storia, e le arti hanno a gara renduto, in tutti i tempi, famoso.
Dopo alcune ore d’incantevole viaggio, s’incontra Maddaloni, che presenta sull’alto d’una sterile rupe le sue vecchie mura, e le sue torri erette da’Longobardi, e da’ Normanni. Ivi ebbero illustre stanza i Conti Roberto, e Raullo, che seguirono Guglielmo II in oriente, e che diffusero il terrore delle nostre errai, e la rinomanza del nostro nome fra’nemici più fieri dell’umanità dell’incivilimento, e della Fede.
Poco lungi da Mddaloni era l’antica Calatia, ove alcuni Sanniti travestiti da pastori diedero a’Consoli romani la falsa nuova, che Luceria era assediata, e additarono loro per soccorrerla il sentiero più breve, ma più angusto della Valle caudina.
Lasciando a dritta la prima fauce di questa valle, si scuopre di rincontro l’acquidatto Carolino, che sembra lanciare maestosamente dal monte Longano a Tifati un triplice ordine di archi trionfali, a fine di recare alla vicina Caserta, erede delle delizie e della grandezza di Capua, il corso di due intieri fiumi, il Fizzo , e l’Isclero.

Si direbbe, che quest’opera colossale ed ardita, a cui non mancano, che i secoli per farla credere romana, sia colà appendicesituata come per indicare con una meraviglia lo ingresso di quel Sannio caudino, che dee terminare con un’altra meraviglia, col ponte di ferro; riepilogando così in questi due capilavori del genio e della munificenza Borbonica, i luminosi risultamenti delle nostre arti, e della nostra coltura nel secolo passato, e presente.
Salimmo su di una collina presso l’acquidotto per osservare la contrada, che avevamo trascorsa, e quella, che ci restava a percorrere fino al Calore.
Appiè d’un olivo selvaggio, su di un suolo ricoverto di mirti, mentre il vento del Matese ci spingea sul volto le foglie de’cerri, che vi crescono orgogliosi noi contemplavamo la più stupenda prospettiva. — All’oriente si mirava il castello d’Arienzo sorgere isolato su di un’altura quasi per segnarci il passo più pericoloso delle Forche caudine. — Più in là, si distendea la regione montuosa degli Irpini e la pianura di Benevento. — A mezzogiorno, il mar tirreno risplendente di luce confondeva il suo languido azzurro con quello del cielo; ad occidente i piani di Capua, e di Casilino ci ricordavano gli Etrusci, ed Annibale; finalmente a settentrione, la vista si perdea nel Matese ricoverto di nevi, nel Taburno cinto di nebbia e di foreste, e nella vallata ove il Calore, dopo di essersi avanzato e ripiegato più volte intorno a se stesso, come un serpente, si riunisce maestosamente al Volturno.
Oltrepassato intanto l’acquidatto della Valle, il paese cangia improvvisamente di sembianza e di clima. L’autunno, che quasi potrebbe dirsi cominciato nella Campania, invia di già il suo ultimo raggio sulle balze caudine. Alle pianure fertili ed estese, ove i più ricchi pascoli sostituiscono le messi e la vendemmia, succedono i monti sterili e le valli, in cui gli olivi solitari si alternano maestosamente co’vari gruppi delle querce e de’faggi. La storia svela nell’opposta natura di questa contrada le sue memorie più melanconiche. La Campania, che scuopriva voluttuosa e ridente le sue dovizie allo sguardo de’poveri abitatori degli Appennini dovea ben presto divenir la preda della loro avidità , e del loro coraggio. I Sanniti appresero a vicenda, che a Capua si sarebbero incontrati co’Romani, e colà si dovea decidere la lunga quistione della pace e della guerra, della servitù e dell’indipendenza.
Giunta a Salipaca , villaggio surto fra ruderi di Plistia, e di Vitalia, e che privo di celebrità sembra nascondersi fra’burroni e le selve, la strada sannitica non potendo superare le smisurate rocce volcaniche del Taburno, si rivolge verso il Calore. Colà un elegante ponte di ferro, sospeso a un doppio ordine di catene, la riceve graziosamente, e la ricongiunge all’altra sponda della riviera.

Ma prima di far parola di questo ponte, il più semplice e perfetto, che si conosca, daremo un rapido cenno sul Calore, e su’ponti, che vi furono in varie età costruiti.
Quattro de’ più grandi fiumi dell’Italia meridionale nascono intorno alla stesse falde del Termonio il Colosso del Principato Ulteriore; e nascondono modestamente le loro urne nel paese sconosciuto e selvaggio degl’lrpini; l’Ofanto che, prima di scaricarsi aell’ Adriatico, scorre fremendo pe’campi sanguinosi di Canne; il Silaro che, presso a seppellirsi nel Tirreno, lambe rispettosamente le sacre mura di Pesto, il Sabato, che, dopo d’averci additato le rovine solitarie dell’antica Sabatia andava a portare sopr’archi di trionfo il tesoro delle sue acque nelle aride regioni di Pozzuoli e di Cuma; in ultimo il Calore che, fiero a ragione della sua terra Natale, non ha d’uopo d’allontanarsi troppo da’sani confini per andare in cerca di fortuna e da gloria. Potrebbe essere considerato come il rappresentante del Sannio, poichè esso segna le quattro grandi divisioni del suo turritorio e costituisce i limiti interiori delle principali nazioni sannitiche, gli Irpini, i Pentri, i Sariceni, ed i Caudini.
Il Calore sorge umilmente appiè di Bagnoli, patria del famoso Leonardo di Capua, ed avanzandosi pe’campi taurasini, celebri per la sconfitta data da Pirro a Romani, si avvicina a Benevento.- Fino a quel punto limpido e tranquillo aveva meritato da’poeti i titoli più lusinghieri,

Ocelle fluminum Calor, Calor pulchrae,
Calor bonorom cura, amorque Nynpharum .

Ma presso ad incontrarsi con un fiume tante volte suo nemico, col superbo Volturno, il Calore si congiunge col Sabato, e con altre correnti tributarie, e divenuto gonfio ed impetuoso, si ride degli argini e de’ponti, se non rattiene le sue torbide acque, se non che fralle loro rovine.

I Romani praticarono sulle minori diramazioni del Calore due ponti. – L’uno nella via Appia poco lungi da Eclano, ( oggidì ponte della Renòla, ) fu ristaurato dall’Imperatore Marco Aurelio. – L’altro, anche più magnifico e d’opera laterizia, vien formato da un solo arco che ha cento palmi di corda, e vien denominato attualmente di Locosano, forse dall’antica Cisarma.
Presso Benevento si tragitta il Calore sui ponti Velentino, di Pio VI, e di Manfredi, sotto del quale furono sepolte le spoglia mortali di quel prode ed infelice monarca.

Il Viceré Pannaranda, circa due secoli indietro, prese l’opera d’un altro ponte, che doveva consistere in tre archi; ma le difficoltà che si opposero alla fondazione d’uno dei due piloni intermedi non poterono essere superate. – Manent vestigia irrite spei. – Se ne osservano tuttora gli avanzi presso Solipaca.
Durante la sopraintendenza del Marchese Valva si pensò d’aggiungere il pilastro mancante al ponte del Vicerè; ma l’opera, contrariata da un’alluvione, fu ben presto abbandonata.
Nel 1810 il sig. Giuliano De Fazio, Ingegnere in capo della provincia di Molise, cercò di porrre a profitto le fondamenta tuttavia motto solide di quel ponte. – Ma incontrò nei sito dove si doveva fondare il nuovo pilone un letto mobile di ghiaia e d’argilla, per la profondità di circa 25 palmi. – Stimò allora di costruire solamente due archi, l’uno di pietra di 54 palmi di corda; l’altro di legname dì palmi 166. 66. – Ma i lavori furono sì mal diretti, che nel 1812 dovettero darsi alle fiamme.
Da quell’anno fino al 1815 si lavorò di nuovo e più ostinatamente che mai, alla costruzione della pila.
I francesi giunsero a deviare con argini il corso del fiume, e vi spesero considerevoli somme. – Finalmente si vide il pilastro giungere all’altezza di 20 palmi dal filo delle acque, e tutti cominciavano a congratularsi del buon successo e ad applaudire, allorché una piena straordinaria lo abbattè e io distrusse in pochi momenti, – Immagine fedele della passeggera Potenza che lo aveva innalzato.
Si credeva quindi impossibile di domare una riviera tanto capricciosa ed irregolare, senza un prodigio di sapienza, di perseveranza, e di genio.
Il nostro incivilimento diè due passi, come il Nettuno d’Omero, e gettò un ponte di ferro sul Garigliano, ed un altro anche più portentoso sul Calore.
Quest’ultimo è situato lungi un terzo di miglio dal ponte di Pennaranda, e poggia sulle sponde d’una solida roccia – Esso presenta la larghezza di palmi 22 compreú i marciapiedi; e la lunghezza di Palmi 226.- La sua altezza dal filo più basso delle acque è di circa palmi 35; sicché le alluvioni più grandi non eccedendo ordinariamente i 21 palmi, il ponte è loro superiore di 14: – Il suo pavimento resta sospeso a quattro fasci, o rami di catene, ognuno della corda di palmi 240 misurata tra gli assi de’pílastri, e della freccia di circa palmi 15.
Due rami sono situati nel piano verticale dall’una all’altra testa del ponte. – Ciascuno d’essi contiene 22, ordini di barre triple; due di maglie quadruple presso i pendoli, e 25 articolazioni. A ventuno d’esse sono sospese le aste verticali o sospensori, che sostengono i correnti longitudinali di ferro, e su di questi poggiane i traversi di legname, ed il tavolato del ponte.
Quattro eleganti pilastri, detti di sospensione, contengono sulla loro cima due pendoli ingegnosamente ideati, e cui vanno ad unirsi le estremità delle catene di sospensione e di ritenuta.
Quest’ultime trovansi in quattro rami su ciscuna sponda del fiume, e partendo dal perno inferiore del rispettivo pendolo in direzione inclinata di circa 3O 1/2 gradi centigradi all’orizzonte vanno ad immettersi nel profondo della terra, ove vengono stabilmente attaccate ad una forte traversa cilindrica di ferro battuto, che si appoggia sopra due grosse lastre di ferro fuso, aderenti alle fabbriche sotterranee.
L’opera fu incominciata in luglio del 1832, e compita in marzo dello scorso anno; essendovisi impiegati due anni e nove mesi.
La valuta de`lavori ascese alla somma di circa 59.000 ducati.
Il metallo si è estratto e lavorato nelle ferriere del Principe di Satriano Cav. Carlo Filangieri di Gaetano.
I pezzi di getto sono stati fusi nella fabbrica della Mongiana. – E quantunque questa fosse stata la prima volta, che un tale Stabilimento abbia tentato fondere pezzi di mole così grande e di forma tanto complicata,tuttavia essi sono riusciti perfetti, e non inferiori agli altri, che pel ponte Ferdinando, si fecero venire dallo straniero. – Le principali modificazioni, intanto, che si osservano nella costruzione del nuovo ponte relativamente a quella dell’altro, si possono ridurre alle quattro seguenti:

1. La forma delle articolazioni, che nell’attuale ritrovato, rende i loro offici più facili, e meno soggetti ad inconvervienti.
2. Per rendere più semplice il disegno de’sospensori e nello stesso tempo per meglio farli servire all’unione nelle articolazioni delle catene, ognuno di essi si compone di due aste, verticali di sezione quadrata, e non già d’una sol’asta circolare, come nel Ferdinandeo. In tal modo essi riescono più semplici, ed il corrente inferiore di ferro è sostenuto più stabilmente.
3. La congegnazione de’pendoli su’pilastri non é più quella che si voleva imitare dal ponte intrapreso sulla Senna dal sig.Navier, e dal ponte Sofia sul Danubio. – Essa consiste bensì in una gran lastra di ferro fuso situata sulla cima d’ogni pilastro, e che ha nel mezzo un foro rettangolare, nel quale due traverse circolari di ferro battuto sostengono i maglioni, e formano i pendoli alle cui estremità inferiori, tanto i rami di sospensione che quelli di ritenuta vanno ad unirsi.
4. Per ultimo, il numero delle maglie, che nel primo ponte sono quattro in ogni ordine, nel seccpdo d’una corda alquanto minore, si restringono a tre.

Prima di aprirsi al commercio il nuovo ponte fu sottoposto all’esperimento d’ un carico di circa 956 cantàri; e non offrì che la più lieve ed equabile osciliazione .
Esso fu inaugurato il 5 aprile dalla Maestà del Re Nostro Signore, che gli diè il nome della sua Augusta Consorte Cristina.

L’ opera fu diretta dal Cav. Luigi Giura, Ispettore Generale delle acque e strade, che perfezionò in essa sì felicemente il sistema, che aveva adottato,colla costruzione del ponte di Ferdinando II. sul Garigliano
Immobili avanti ad uno de’leoni di marmo, che sembrano star di guardia sugl’ ngressi del ponte Cristina, noi volgevamo lo sguardo a’suoi magnifici contorni. — Quivi tre provincie allungano i loro angoli estremi, come per darsi amichevolmente la mano; il Contado di Molise, la Terra di Lavoro, ed il Principato ulteriore. A destra si hanno le balze pittoressche di Camposcuro, la valle, ed il ponte delle streghe, celebri nelle tradizioni nazionali, ed il piano di Benevento .
A sinistra si scuoprono io rovine di Telesia, patriaa di Erennio, amico d’Archita e di Platone, e i de’due Ponzi Telesini, che misero più volte agli estremi la fortuna di Roma. – Montenero eleva colà la sua punta vulcanica, e domina coi ruderi d’un accampamento romano le fortificazioni d’un castello Sannita . – A’ suoi piedi scorre la fontana detta de’tre colori, per la tinta graziosa, prodotta da’principi minerali delle sue acque. Più sopra è Cerreto dove Annone ricevé una grave disfatta dal Console Fuvio. Seguono in fine gli avanzi di Limata, città de’mezzi tempi, che fu distrutta per aver conteso il passaggio del fiume a Ruggiero braccio di ferro il fondatore della Monarchia Napoletana.
L’ orizzonte è chiuso da’gioghi vulcanici del Tiferno, il baluardo dell’indipendenza Sannitica, che sorpassano in altezzaa la regione delle nubi e delle procelle , e su’quali mirasi tuttora, come fra le Alpi, il sole, ed il crepuscolo, quando nella pianura regnano da più ore le tenebre e la notte.
In tal guisa fralle catastrofi del tempo, della natura, e degli uomini, il nuovo ponte di ferro ai ritrova in mezzo del Sannio, come monumento di prosperità e di pace, che narrerà ai posteri una delle più belle pagine della nostra storia.