Cronache dal brigantaggio e dintorni di Valentino Romano (XVIII)
Posted by altaterradilavoro on Mag 29, 2025
Il fiume della Storia trascina e sommerge le piccole storie individuali, l’onda dell’oblìo le cancella dalla memoria del mondo; scrivere significa anche camminare lungo il fiume, risalire la corrente, ripescare esistenze naufragate, ritrovare relitti impigliati sulle rive e imbarcarli su una precaria Arca di Noè di carta.
Claudio Magris
Uffa, sempre a cercare il pelo nell’uovo.
Laterza, ottobre del 1862.
Il 19 ottobre si tiene in Laterza una festa religiosa che si conclude a notte inoltrata con fuochi artificiali. Ma, intorno alle due di notte, accade un fatto increscioso: Nunzio Pacciano, contadino del posto, uccide con un colpo di stilo Paolo Giacosa, sergente della locale Guardia Nazionale e si dà subito alla fuga; braccato dalle forze dell’ordine, viene poco dopo scovato dal capitano della GN Agostino Ceglie e, dopo una colluttazione, ridotto all’impotenza, arrestato e sbattuto in carcere. In quei frangenti lancia minacce esplicite di vendette ad opera dei briganti che – dice – ha cercato di raggiungere prima del fermo. Un soldato della 16ª compagnia del 24° Reggimento Fanteria della Brigata Como testimonia che il Pacciano, insieme ad altri, qualche giorno prima lo avrebbe avvicinato, proponendogli di disertare, anche perché i piemontesi non avevano più a 5 o 6 giorni di vita.
All’eroico capitano Ceglie, che nell’arresto ci ha rimesso finanche la scalfittura di un dito, cade quindi ogni residuo dubbio: Pacciano è un brigante! D come tale deve essere trattato. Il sottotenente Valobra, che comanda il plotone di militari di stanza nel paese, chiede – nella stessa notte – istruzioni sul da farsi al suo superiore, il maggiore Bettarini, sottolineando che il Paese vuole che il colpevole sia fucilato, benché del sito, ma conosciuto come brigante. E Bettarini non perde tempo a rispondere con un dispaccio urgente: La S.V. potendo avere una deposizione in iscritto da tre persone probbe [sic] di codesto paese che il feritore Nunzio Damiano appartenga ad una delle bande brigantesche, potrà passarlo per le armi prima che spirino le 24 ore dell’arresto.
Detto fatto, le tre persone probbe si trovano subito e attestano che il pericoloso soggetto diceva al Capitano Comandante la Guardia Nazionale, quando l’arrestava col pugnale alla mano, che aveva molti compagni, e che mentre fuggiva voleva commettere il secondo in persona di Giuseppe Tucci di Gennaro, anche Guardia Nazionale a cui chiese del pane, mettendogli il pugnale nel petto, e a cui dichiarò che andava a riunirsi ai compagni, e perciò i sottoscritti senza dubbio lo dichiarano appartenente al Brigantaggio”.
Essendo così chiarito, oltre ogni ragionevole dubbio, che chiunque chiede del pane (magari con la violenza) non può che essere un … brigante, il Valobra si affretta a dar conto del suo operato: prima delle ore 24, cioè a il giorno 21 alle ore tre pomeridiane lo feci condurre vicino al cimitero e fu fucilato sotto il mio comando.
Giustizia è fatta, il caso sembra chiuso. Ma non è così, perché qualche giorno dopo al comando del reggimento arriva l’inquietante notizia che vuole il sig. Giudice Mandamentale di Ginosa che in questo affare si sia, e per parte dell’Ufficiale, e per parte del Comandante della Guardia Nazionale di Laterza, agito troppo leggermente, ed intende procedere contro costoro giuridicamente.
Si muovono allora, allarmati, gli alti vertici militari che si preoccupano di contattare il sindaco di Laterza, Luigi Minni: questi li rassicura sulla legalità della condanna. I militari, comunque, qualche motivo per continuare a preoccuparsi ce l’hanno ancora: la famosa dichiarazione dei tre probbi è sottoscritta – vedi tu, quando si dice la combinazione – dall’Agostino Ceglie, che tra l’altro è anche il segretario comunale, e da due altri galantuomini! Questo fatto ha naturalmente incuriosito il Giudice Mandamentale, che ritiene inconcepibile come il Ceglie, parte direttamente interessata, abbia potuto redigere, sottoscrivere ed autenticare lui stesso la dichiarazione; lo stesso giudice ha appurato che i due galantuomini, don Michele Galli, segretario della Pubblica Beneficenza e don Giammaria Galli, agrimensore, si trovavano nella sede municipale per caso e, invitati dal Ceglie, hanno apposto la loro firma senza nemmeno sapere cosa stessero firmando, per un semplice atto di cortesia (forse non disinteressata) nei confronti del Segretario Comunale. Tanto il giudice è convinto del fatto che, dopo qualche tempo sbatte il Ceglie in cella e istruisce il processo nei confronti dello stesso e dei due ufficiali coinvolti, il Valobra e il Bettarini.
L’affaire si complica, lo scandalo rischia di diffondersi a macchia d’olio e, per tamponarlo, sono costretti a scendere in campo i pezzi da novanta, militari, politici giudiziari.
Il 12 dicembre il Ministro Della Rovere scrive al generale Lamarmora, allegando una lettera del Procuratore Generale del Re presso la corte d’Appello di Trani nella quale spiega che “il Pacciano, preso dal vino attaccava briga con un suo compaesano Paolo Giacosa”. Caspita! Vuoi vedere che il pericoloso brigante era solo un modesto ubriaco autore di una rissa di paese? Aggiunge anche il sig. Procuratore di nutrire forti dubbi sulle modalità di redazione e sottoscrizione della dichiarazione, anche perché il Signor Ceglie di ciò incaricato fece la dichiarazione essere il Pacciano e un brigante e, rifiutando il Sindaco di firmarla, la fece sottoscrivere da due individui che, per caso, si trovavano la Municipio e che firmarono senz’altro e senza sapere di che si trattava.
Lamarmora salta sulla seggiola e chiede immediatamente lumi al Comando Militare di Bari. La risposta è raggelante, il Comando è costretto, nell’inviare tutto l’incartamento, a riconoscere che tutto è scaturito per artifizio colpevole ed inganno usato dal Capitano dlela Guardia Nazionale; ammette anche poi essere stata quella fucilazione compita senza verun giudizio e senza alcuna formalità.
La cosa peggiore è però che potrebbe facilmente quel processo prendere delle proporzioni più estese. In gioco, in altri termini, è l’onorabilità dell’esercito. Ove il processo venga celebrato si corre il fondato pericolo di vederlo estendere al comportamento di tutto l’esercito e vederlo così trasformato in un processo politico dalle conseguenze non prevedibili.
Ma il Comando non è stato colle mani in mano: si è adoperato presso il Procuratore Generale perché voglia sospendere il processo, insabbiarlo, insomma. E se proprio tutto ciò non è in suo potere, allora che si lasci prendere una decisione direttamente ai Ministeri coinvolti, quello della Guerra e quello della Giustizia.
Le vie della politica e del potere sono, come si sa, tanto infinite quanto riservate. Ignoro perciò quali abboccamenti intervengano nell’affaire e quali argomentazioni vengano addotte: le carte, come al solito, non dicono.
Quel che è certo che, dopo qualche tempo, il Procuratore Generale del Re scrive a Lamarmora un’ennesima missiva nella quale si compiace di rilevare il buon indirizzo che prende il malaugurato processo. Coi preziosi chiarimenti datimi sembrami a bastanza giustificata la condotta del sottotenente Valabro e maggiore Bettarini, e quindi potersi evitare un procedimento penale.
D’accordo, ma con il Giudice Mandamentale che si fa? Speriamo che la pensi così, è l’ambigua risposta dell’altro magistrato.
Va bene anche questo, la storia di centocinquanta e passa anni è lastricata di magistrati minori invitati a pensarla così, ma con il Pacciano come la mettiamo?
E va beh, dai! Vale la risposta del Comandante Territoriale di Bari: se in quella circostanza si mancò forse ad alcune delle formalità volute dalla Legge, non si mancò certamente ai principi di giustizia perché il Pacciano era un brigante e omicida.
Non ci sono prove che fosse davvero un brigante, non c’è uno straccio di indicazione della banda alla quale avrebbe appartenuto, non ha assaltato corpi di guardia, non ha fatto grassazioni. Ma non poteva che essere un brigante e se proprio non lo era lo sarebbe sicuramente diventato: era ubriaco e, soprattutto, chiedeva.. pane.
Il mancato rispetto del diritto di difesa? La mancanza di un giusto processo? L’esecuzione sommaria? Gli imbrogli del Ceglie?
E basta che diamine, ditelo apertamente che cercate il pelo nell’uovo …