Cronache dal brigantaggio e dintorni di Valentino Romano (XXXIII)

Cronache dal brigantaggio e dintorni di Valentino Romano (XXXIII)

Posted by altaterradilavoro on Set 11, 2025

Il fiume della Storia trascina e sommerge le piccole storie individuali, l’onda dell’oblìo le cancella dalla memoria del mondo; scrivere significa anche camminare lungo il fiume, risalire la corrente, ripescare esistenze naufragate, ritrovare relitti impigliati sulle rive e imbarcarli su una precaria Arca di Noè di carta.

Claudio Magris

I conti non tornano.

Avigliano, marzo del 1864

Se la storia della fine di Giuseppe Nicola Summa, più conosciuto come Ninco Nanco è nota, un po’ di meno lo sono alcuni particolari sull’episodio che emersero nei giorni successivi.

Il 13 marzo del 1864, Ninco Nanco viene intercettato con tre dei suoi compagni nel pagliaio Glitimosca in contrada Croce Angelone di Frusci da un drappello Reali Carabinieri, Guardie Nazionali e soldati comandati dal degnissimo sacerdote don Donato Pace e Luogotenete della Guardia e Carriero don Leonardo, porta bandiera, non che Bochiccio Nicola, diacono, in compagnia del Sig. Capitano  Rossi del 22 Reggimento fanteria: costretto ad arrendersi, esce con le mani in alto ma un caporale della Guardia Nazionale, Nicola Coviello, lo fredda a bruciapelo con un colpo di fucile. La cosa susciterà notevoli imbarazzi nelle forze dell’ordine e vivace dissenso nell’opinione pubblica. Il Coviello è uomo di Benedetto Corbo, un possidente di Avigliano, non ingiustamente additato come  uno dei principali manutengoli del brigante: il sospetto è che Coviello abbia pensato bene di tappare definitivamente la bocca al pericoloso brigante per evitare fastidi al suo padrone nell’ipotesi di possibili future rivelazioni del luogotenente di Carmine Crocco. A causa di tali sospetti Coviello subirà un processo che – manco a dirlo – si concluderà con un nulla di fatto.

Nel rapporto dei Reali Carabinieri è precisato che, perquisito il cadavere di Ninco Nanco, vengono rinvenuti due pacchi di monete d’oro che furono consegnati dai RR. Carabinieri al capitano della Guardia Nazionale Sig. Padula Giovanni e da questi depositati nelle mani del giudice Marrano, sette o otto piastre, una rivoltella, due orologi a cilindro d’argento , una catenella e mezza di oro.

La notizia dell’uccisione viene immediatamente riportata dalla stampa nazionale e locale: Ninco Nanco è personaggio troppo noto alle cronache brigantesche di questi anni e i giornali ci si buttano a capofitto. I dubbi

Il milanese La Perseveranza, ad esempio, ne dà notizia il xx : l’articolo evidentemente lascia il segno a tal punto che il Ministero della Guerra avverte la necessità di promuovere un’inchiesta, essendo sufficientemente giustificato il sospetto di premeditazione per parte dell’uccisore di Ninco Nanco, mentre nell’opinione del paese restano a carico del Giudice e Delegato di Pubblica Sicurezza in Avigliano dubbi poco lusinghieri sulla loro onestà che li mettono in una falsa posizione.

E, visto che ci siamo, esaminiamola questa falsa posizione per come emerge dall’inchiesta: è consuetudine, dopo la cattura o l’uccisione di un brigante, tra coloro che vi hanno preso parte si dividono equamente taglia e bottino. Nel caso di Nanco Nanco, come premio per la cattura, vi è la taglia di lire 15.000 alle quali vanno aggiunte lire 850 per quella di due suoi compagni e infine 1.070, 40 lire trovate addosso al brigante: in totale si arriva alla discreta somma di lire 16.920 ed è, infine, provato che alla cattura hanno concorso 73 persone (ventisei col prete Pace, quarantatre con Corbo e quattro carabinieri). Facendo un po’ di conti toccherebbero a ciascuno  lire 231,78.

Ma la Prefettura sostiene che gli intervenuti sono – non si sa come – ottantacinque e tra questi deve quindi essere distribuita la somma che, ricalcolata, ammonta a lire 199,07; però, dovendo essere sottratte lire 1656,10 per pagare la spia in modo splendido, la somma si riduce ancora a poco meno di 180 lire ciascuno. E, dal momento che Giudice e Delegato ritirarono il bottino ed il denaro del premio, la conclusione dell’inchiesta è che essi stessi fecero il riparto nel modo che cedettero.

Nel rapporto conclusivo dell’inchiesta non è detto esplicitamente ma gli inquirenti non sanno spiegarsi né la differenza di conteggio dei partecipanti, né la reale esistenza di una fantomatica spia. Forse ignorano un vecchio adagio delle mie parti che, italianizzato, recita più o meno così: chi divide ha sempre la… miglior parte!

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